Lolita
Lolita
Vladimir Vladimirovič Nabokov;(San Pietroburgo, 22 aprile 1899[1] – Montreux, 2 luglio 1977) è stato uno scrittore, saggista, critico letterario, entomologo, drammaturgo e poeta russo naturalizzato statunitense.
Universalmente noto per il suo Lolita (1955), scritto in inglese e base per l’omonimo film del 1962 di Stanley Kubrick, Nabokov vanta anche una considerevole produzione in russo; la sua narrativa spazia su varie tematiche, quali la frammentazione sociale, l’ossessione del sesso e la distopia, mentre in ambito saggistico scrisse di entomologia e di scacchi, dei quali era teorico prima ancora che giocatore.
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Lolita
Il delirio passionale per una minorenne era urtante per la morale comune e ne ebbero paura i 4 editori americani che rifiutarono il manoscritto. Quel che ignoravano o sottovalutavano dell'opera erano la ricerca dei particolari e l'approfondimento della psiche e dei sentimenti dei protagonisti, l'uso sapiente dell'arma dell'ironia che insidiava, smorzandoli, i passaggi più scabrosi. Nel 1956, al suo apparire in America, fu sommerso dai fischi, dalle proteste, e dalle severe condanne dei benpensanti che non seppero trovarvi altro che un libello pornografico. Il romanzo divenne un best seller tradotto in 30 lingue, con oltre 50 milioni di copie vendute in tutto il mondo.
La passione di Humbert Humbert, tipico prodotto della cultura della vecchia Europa, attraversa indenne il grottesco di un matrimonio, e l'adempimento dei relativi doveri coniugali, con la madre di Lolita, pur di continuare a stare accanto a lei senza destare sospetti. Liberatosi inaspettatamente il campo con la morte, quasi cercata, della moglie che aveva scoperto quell'orripilante attrazione sessuale, Humbert fugge in auto con l'oggetto dei suoi desideri, in una corsa senza meta, zig-zagante per tutto il vasto continente americano, di Stato in Stato, di motel in motel, di albergo in residence appartati, con le toilette delle stazioni di servizio, i supermercati, i gelati al pistacchio e i fumetti di Lolita, gli hamburger, i tanti letti sfatti, disordinati, per strade e autostrade con il cattivo gusto della provincia come sfondo. È un amore on the road per una donna che ancora non è donna, maniacalmente perseguito e inseguito per tutta l'America, agli occhi di un europeo terra ancora giovane, senza sedimentazioni, ancora plasmabile, proprio come la sua Lolita. Un amore-malattia dello spirito che ha per oggetto Lolita, ora dolce ora scorbutica, sempre mutevole, impenetrabile, inafferrabile. Proprio come un sogno. Un amore ideale, sublime anche se distorto, proiezione dei desideri di Humbert, suo "alter ego" inesistente nella realtà, per cui vana è la tensione a un suo possedimento totale, come vana è quella lunga corsa per il giovane continente, che non approda né a una conciliazione, né alla conoscenza di sé stesso. Humbert l'incantatore, il predatore, alla fine è lui il predato, l'incantato. Le parti si invertono quando Lolita, improvvisamente scomparsa e altrettanto inaspettatamente ricomparsa nella normalità di una donna sposata con un coetaneo, gli rivela il ruolo di "gioco" da lui sempre rivestito, uno dei tanti giochi da lei amati, come il tennis, come una nuotata. Nabokov ancora una volta mette in discussione la realtà e il suo effimero, perdente rapporto con quanto è apparente, frutto del sogno, della fantasia.
L'attacco non è frontale ma dissimulato sotto una valanga di artifici e di depistanti indizi. Per Nabokov la letteratura è sempre libero esercizio della fantasia, è gioco che, al pari della divina facoltà creatrice, ha il potere di ampliare a dismisura il mondo reale dando corpo alle sensazioni, ai desideri, alla fantasia. Creatura del XX secolo, Lolita è capricciosa, imbronciata, civettuola quel tanto da farsi inseguire "per gioco" in un lungo viaggio picaresco che porta in nessun dove, già in sé concluso e significante. Lolita è come Eva, nata dalla costola di Humbert-Adamo, che sfugge ancora una volta di mano all'uomo. Alla cognizione dello spaesamento, della perdita, della sofferenza, Nabokov oppone in Lolita la sublime arma del riso dissacrante
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«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
«Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita».
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